domenica 12 luglio 2015

San Colombano, la vita di un testimone cristiano

SAN COLOMBANO





Note a cura di Riccardo Tonna

Istituto Comprensivo di Bobbio
2010







San Colombano Vetrata cripta Abbazia di Bobbio
Il santo abate Colombano è l’irlandese più noto del primo Medioevo: con buona ragione egli può essere chiamato un santo «europeo», perché come monaco, missionario e scrittore ha lavorato in vari Paesi dell’Europa occidentale. 
Insieme agli irlandesi del suo tempo, egli era consapevole dell’unità culturale dell’Europa. In una sua lettera, scritta intorno all’anno 600 e indirizzata a Papa Gregorio Magno, si trova per la prima volta l’espressione «totius Europae, di tutta l’Europa», con riferimento alla presenza della Chiesa nel Continente (cfr Epistula I,1).[1]

1. PERIODO IRLANDESE
In Irlanda il Vangelo prese immediatamente radici e a meno di cento anni dopo la morte di san Patrizio (461), si assiste a quella sorta di esplosione che è chiamata "il miracolo irlandese".
L'uomo che personifica questo vigore dell'apostolato irlandese nel mondo è proprio Colombano. "Un uomo dotato della santità itinerante che caratterizza l’epoca dell'Alto Medioevo, periodo che si riteneva condannato a stagnare nell'ignoranza,  che invece con ogni probabilità fu un secolo chiave nella  storia della civiltà occidentale e del Continente Europeo". [2]
Croce celtica nel monastero di Clonmacnoise
Questo santo proviene dal monachesimo irlandese, un movimento di grande spiritualità cristiana che si è diffuso rapidamente in questa isola legandosi ai clan tribali. 
Il monachesimo era qui strutturato come una cittadella fortificata, con semplici capanne in legno, costruite dagli stessi monaci, raccolte intorno ad una chiesa, circondate da una palizzata. Solo in seguito furono costruite in muratura, in particolare nell'Irlanda occidentale, dove il legno era più scarso. 
I monaci provvedevano essi stessi al proprio sostentamento e conducevano una vita dura, fatta di lavoro manuale, studio, preghiera e pratiche di mortificazione. Ogni monastero aveva la sua regola e i monaci erano tenuti all'obbedienza nei confronti dell'abate. [3]
Colombano nacque a Navan località del Leinster nel 540 circa. Lo possiamo definire figlio della sua terra che aveva plasmato in lui una forte personalità ed un carattere energico.
Questa terra viene descritta molto bene da Giona, monaco della val di Susa, biografo di Colombano, che così ne parla:
“Nacque nell’isola d’Irlanda, situata all’estremità dell’Oceano, rivolta verso il tramonto del sole. Quivi gigantesche ondate aprono abissi terrificanti, spaventosi per il loro colore, increspandosi in maniera impressionante sulle alte creste, con il biancheggiante manto creato per un istante dal ceruleo[4] dorso e battono gli schiumosi lidi, estreme insenature delle terre e non permettono alla nave disarmata e tranquilla di viaggiare sul mare agitato per renderci note quelle spiagge” [5]
Giona entrò nel monastero di Bobbio verso il 618 e scrisse la vita di Colombano per incarico dell’Abate Bertulfo.
Con questo suo scritto, vuole metter in risalto la straordinaria forza d’animo di Colombano, le sue eccelse virtù, il suo zelo apostolico ed in particolare i prodigi da lui compiuti. Colombano è l’uomo di Dio mandato sulla terra per evangelizzare le genti, sulle orme di Cristo. 
Per questo ha rinunciato a tutto, ha abbandonato la madre, il suo paese, la sua terra, ha rinnegato se stesso, ha seguito Cristo il suo vero ed unico modello. Giona attribuisce al Santo molti miracoli simili a quelli compiuti da Cristo stesso, come la moltiplicazione dei pani, la guarigione di indemoniati, la pesca miracolosa ed altri. Ciò può suscitare nel lettore moderno una certa perplessità e diffidenza riguardo al valore storico dell’opera, ma dobbiamo riportarci nel contesto del tempo in cui il libro è stato scritto. 
La mentalità di allora, infatti era propensa a vedere, gran parte degli atti di un uomo di straordinaria religiosità, in una luce miracolistica a scopo celebrativo della persona.[6]
Colombano, da questa biografia, sembra riunire in sé tutte le qualità fisiche, intellettuali, spirituali che si possono incontrare in un essere umano.  
Sempre il testo di Giona ci permette di sapere che era di aspetto avvenente e che aveva dedicato la sua giovinezza sia agli esercizi fisici che agli studi in mezzo alla natura in quella contea di Leinster dove era nato da nobile famiglia; un'educazione molto accurata fa di lui un cavaliere, un arciere emerito e anche - poiché è compagno e amico dei pastori, dei contadini del posto - un essere sensibile alla vita della natura come lo è stato fin da bambino alla preghiera, alla salmodia, alla conoscenza della Sacra Scrittura. 
Secondo gli usi del tempo, impara a leggere cominciando dal salterio[7], il suo maestro gli insegna anche gli elementi di quelle arti liberali che formano la base dell'educazione: musica, aritmetica, geometria, astronomia e soprattutto la "grammatica", vale a dire sia quello che noi intendiamo con questo termine, sia le lettere in genere, poesia, storia, letteratura. 
Giovanissimo, si rivela egli stesso poeta; insomma, sua madre, che prima della sua nascita aveva avuto la rivelazione che un sole ardente sarebbe uscito da lei, dovette vedere realizzarsi fin dall'infanzia l'interpretazione che poteva dare a quella fulgida visione. [8]
Nella giovinezza Colombano si trova a un bivio, come è facile supporre. 
Ascolterà le sollecitazioni che si immaginano numerose, per un ragazzo cosi straordinariamente dotato, oppure le dominerà  superando se stesso e lasciando a Dio la cura di guidarlo anima e corpo verso le proprie mete?
Esitante, conteso, divorato da tutti gli impulsi e le attrazioni che sente in sé, Colombano va a chiedere consiglio a una santa donna,  oggi diremmo una monaca di clausura, che vive nei pressi e gode fama di grande saggezza; essa lo consiglia energicamente di fuggire il mondo come ha fatto lei stessa quindici anni prima, ripetendo in conclusione l'esortazione del Vangelo: " Alzati e cammina". 
Tornato a casa, Colombano decide a sua volta di lasciare tutto, persino il luogo dove è nato e a cui è molto legato, persino sua madre che lo ha guardato crescere con fervente ammirazione; al momento della partenza essa, che ha fatto di tutto per trattenerlo, si corica attraverso la porta. 
Colombano le cita il Vangelo: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me ". 
Giona parla delle lacrime con cui entrambi inaugurano il loro nuovo destino, dopo questa violenta separazione.[9]

Formazione monastica a Bangor
Il giovane raggiunge l'isola di Cleen ed è ammesso nell'abbazia di Cluain Inis, retta da un santo abate chiamalo Sinneill; nel corso di alcuni anni si forma a questa esistenza che unisce solitudine e comunità, nella capanna dove si rifugia conducendo una vita di preghiera, di silenzio, di lavoro. 
Poi si reca in un'altra abbazia, Bangor, situata nell'Ulster, dove sono riuniti - si dice - tremila monaci; è lì, sotto la guida dell’abate Comgall, che diventa prete.  
Bangor è il centro di una grande irradiazione,  il famoso antifonario lasciato dall'abbazia e oggi conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano attesta lo sviluppo intellettuale e spirituale raggiunto nell'abbazia quando fu composto, nella seconda metà del VII secolo; è miniato con spirali, arabeschi, tutte le figure fiabesche sono disegnate con quella sicurezza e quella forza immaginativa inesauribile che caratterizzano l'arte irlandese dall'antichità fino al XIII secolo.

  

2. PEREGRINATIO
Dopo molti anni passati a Bangor, cresce sempre più in Colombano l’ideale ascetico tipicamente irlandese della “peregrinatio pro Christo”, del farsi cioè pellegrino per Cristo che ha costituito uno dei fattori dell’evangelizzazione e del rinnovamento culturale dell’Europa.
Jean Leclercq[10] fa notare che la "peregrinazione" non era un'alternativa all'eremo e alla spiritualità tradizionale che il monachesimo esprimeva e suscitava: i monaci colombaniani vivevano una vita appartata e cenobitica[11], segnata dal digiuno, dall'orazione e dalla solitudine. La "peregrinazione" significava «esercizio di mortificazione», esilio, povertà, distacco a imitazione di Abramo, che lascia la sua terra e la sua casa.
Quindi, secondo Colombano, la peregrinazione era una dimensione costitutiva del suo monachesimo.
Così egli stesso si esprimeva  nei suoi scritti:
“Conserviamo salda in noi questa convinzione, così da vivere nella via come viandanti, come pellegrini, come ospiti del mondo, senza attaccarci ad alcuna passione, senza desiderio alcuno dei beni
terreni, ma in modo tale da colmare le nostre anime della bellezza delle realtà celesti e
spirituali, cantando intensamente e con arte: Quando verrò e contemplerò il volto del mio
Dio? Infatti l'anima mia ha sete del Dio vivente (Sal 41, 3).[12]

Sbarco in Gallia e primo insediamento ad Annegray (La Voivre)
Colombano s'imbarca quindi verso il 590 per seguire il progetto della “peregrinatio” con dodici discepoli.
Con questi seguaci fa scalo sulle coste della Cornovaglia, poi nell'Armorica, e non è escluso che il villaggio di Saint-Coulomb, non lontano dal golfo di Saint-Maló (Ille-et-Vilaine), tragga il suo nome da uno di questi scali, e forse persino dal suo sbarco in Gallia. 
L'arrivo di quegli strani monaci vestiti di bianco e tonsurati all'irlandese - ossia con la fronte ampiamente scoperta dal rasoio che disegnava una specie di mezzaluna, mentre i capelli erano tirati indietro e ricadevano sulle spalle -,  doveva sorprendere le popolazioni; inoltre era caratteristico il sacchetto in cui portavano il loro tesoro: il Vangelo.
Colombano approda nella Francia merovingia, si reca quindi, con  i suoi, a Rouen, Soisson e Reims in Austrasia passa poi in Burgundia dove regnava il re Gontrano che offre loro asilo.
Colombano e i compagni accolgono il suo invito stabilendosi sulla frontiera della Borgogna e dell'Austrasia, in una zona di foreste dove si trova un vecchio “castrum”[13], semidistrutto e abbandonato, che ristrutturano tra il 591 e il 592 e realizzano su queste rovine il primo insediamento monastico; si tratta di Annegray, presso i Vosgi.
La narrazione di questo periodo da parte di Giona non manca di aspetti che si potrebbero avvicinare ai Fioretti di san Francesco, ma reca il segno di un paese più rude e di inizi più austeri: ora sono lupi che circondano Colombano e  finiscono per ritirarsi, lasciandolo sano e salvo; oppure quelli che sono chiamati gli " svevi " - bande di invasori attardarsi nel paese, una sorta di emigrati divenuti banditi - piombano nella foresta, ma passano letteralmente vicino a lui senza vederlo. 
Ancora oggi si mostra sopra Annegray, su una collina boscosa, la grotta dove Colombano si ritirava per pregare in solitudine; in origine era la tana di un orso che alla fine divenne suo compagno. [14]
La fama di quei religiosi stranieri che, vivendo di preghiera e in grande austerità, costruivano case e dissodavano la terra, si diffonde velocemente attraendo pellegrini e penitenti. 
Soprattutto molti giovani chiedevano di essere accolti nella comunità monastica per vivere, come loro, questa vita esemplare che rinnovava la coltura della terra e delle anime.

Fondazione di Luxeuil e Fontaines importanti centri monastici
Poiché Annegray è diventato troppo stretto per tutti i discepoli che vi affluiscono, Colombano nel 593
fonda il secondo e il più celebre dei suoi monasteri, Luxeuil; ne dovrà poi creare un terzo, Fontaines.
Si possiede il testo della regola di Luxeuil, formulata da san Colombano e che probabilmente si limita a ripetere quella di Bangor, che è andata perduta. 
I punti essenziali sono la preghiera, il lavoro, l'ascesi, destinati a mantenere nel monaco l'ardore della carità, dell'amore di Dio, nella pratica dei tre voti di castità, povertà e ubbidienza, che caratterizzano ogni consacrazione religiosa.
Come era allora di consuetudine, la preghiera è fondata sui salmi; alcuni monaci si costringono a recitare quotidianamente l'intero salterio, in genere ogni giorno se ne recita un terzo, ossia cinquanta salmi; la preghiera coinvolge anche il corpo, essendo accompagnata da numerose genuflessioni, prostrazioni, o braccia aperte in forma di croce. 
Quanto al lavoro, si tratta del lavoro manuale, assolutamente consueto per i monaci, o dello studio, molto coltivato in tutti i monasteri irlandesi; e proprio l'Irlanda con i suoi monasteri insulari, e quelli che semina in Occidente, fornirà a tutta l'Europa i soli studiosi ed eruditi che siano in grado di trasmettere - nel momento di una rovina generale delle scuole e del sapere – le acquisizioni dell'antichità, grazie alla loro conoscenza del greco in particolare, dell'astronomia, della geografia e della grammatica, ossia delle "lettere" antiche.
Infine si deve sottolineare l'ascesi propria di questi monasteri: temperamento fortissimo, desiderio di assoluto, austerità, intransigenza si fanno strada attraverso le penitenze praticate:
-        immobilità totale nella posizione delle braccia in forma di croce,
-        uso dei bagni gelidi durante il quale spesso il monaco recita salmi,
-        astinenza terribile: mangiar carne è assolutamente vietato, pare che il pesce fosse riservato ai giorni di festa, come le uova e il latte scremato: un solo pasto al giorno.
Insomma, nel complesso una situazione impressionante.[15]
Però in altri testi, che raccontano dei monaci irlandesi, vi sono accenni che suggeriscono come il vero regime in uso presso questi monasteri era più compassionevole di quanto le penitenze potessero far credere. 
Nel bel mezzo dei gesti più eroici fanno capolino aspetti di uno spirito gentile e umano. 
Questi sono, per esempio, la sollecitudine dell’abate per i monaci, per assicurarsi che non abbiano troppo lavoro e siano nutriti adeguatamente, l’amore per gli animali e l’apprezzamento per il mondo della natura.[16]
Quindi l’austerità era però accompagnata da grande umanità che ha dato i suoi frutti nello studio e nella cultura, segno di vivacità intellettuale che, in un contesto cupo e legato solo alla penitenza, non si sarebbe così sviluppata.

Contrasto con i re merovingi
La vita del fondatore di Luxeuil viene segnata da alcuni dissidi con la regina Brunechilde, reggente nel duplice regno di Austrasia e di Burgundia durante la giovinezza dei suoi nipoti Teodeberto e Teodorico. Poiché aveva preso gusto al potere, essa prolungava a suo modo quella gioventù e inesperienza assecondando i piaceri del nipote Teodorico  colui che avrebbe dovuto regnare in Austrasia; infatti costui teneva intorno a sé moltissime ancelle, che in verità erano concubine[17]
Brunechilde, già in conflitto con il vescovo di Vienne Desiderio, avrebbe giudicato opportuno ingraziarsi Colombano. 
Un giorno, sempre secondo il racconto di Giona, gli porta alcuni dei figli naturali di Teodorico e gli chiede di benedirli; il monaco rifiuta e lancia una predizione secondo cui quei bambini non reggeranno mai lo scettro. Brunechilde replica vietando ai suoi sudditi di varcare i confini del monastero di Luxeuil o di fare ai monaci doni qualsiasi; tuttavia quella specie di blocco del monastero non poteva durare. 
Colombano si reca dal re Teodorico che risiedeva allora a Epoisses, ma si rifiuta di varcare la soglia del palazzo; Teodorico - un po'complessato, diremmo oggi, a causa della sua cattiva condotta - gli fa portare un pasto. 
Il monaco irlandese afferra i piatti e li getta per terra: aveva un modo tutto suo di intendere le regole della diplomazia.[18] 
Questo atto disarma, letteralmente, la collera della vecchia regina e del giovane re che, almeno per un certo tempo, si sottomettono. 
Per il Santo gli obblighi del matrimonio erano sacri, quindi il sovrano in questo campo doveva dare il buon esempio. 
Ma Teodorico era infastidito dai rimproveri dell'asceta. 
Le ostilità non tardarono a risorgere, così Colombano finì per essere esiliato.  
La regina sapeva che si erano determinati dissensi tra il monaco irlandese e i vescovi della Gallia, a causa
di usi liturgici (il differente calcolo della Pasqua), tanto che il rancore personale che nutriva contro
Colombano trovava giustificazioni anche presso di loro, aumentando così i motivi per allontanare il Santo irlandese.

 Da Luxeuil a Nantes, la via dell’esilio


Nel 609 Colombano fu espulso da Luxeuil e fu messo in carcere a Besançon, da dove però, allentatasi la sorveglianza riuscì a fuggire per tornare a Luxeuil. 
Nuovamente arrestato, nel 610 fu condotto in barca lungo la Loira verso Nantes, da dove avrebbe dovuto ritornare per mare verso l'Irlanda con i suoi dodici compagni. 
Ciò che accade in seguito è molto significativo: la sua scorta, lui e i suoi compagni sono condotti verso la Normandia passando per Chalon-sur-Saóne, Autun, Avallon, Saint Morè e Auxerre; ma fin dall'inizio del viaggio aveva luogo una nuova fondazione: un compagno del santo, di nome Desio, già anziano, dovette fermarsi, perché non poteva assolutamente servirsi di un piede, Colombano gli permise di restare in romitaggio nella valle dell'Oignon, in un luogo dove sarebbe sorta l'abbazia di Lure
In seguito la scorta ricevette l'ordine di dirigersi verso Nevers e poi di seguire la Loira fino a Nantes. Probabilmente poiché Brunechilde aveva saputo quale affluenza di folle provocasse il passaggio di quei monaci; gli ordini divennero severi e i soldati della scorta picchiarono e malmenarono i monaci; tuttavia si menzionano ancora molti miracoli, tra l'altro, a Orléans, la guarigione di un siriano cieco che, con sua moglie, aveva osato offrire cibo ai prigionieri.
I monaci ricompaiono a Tours, dove Colombano può passare una notte in preghiera davanti alla tomba di san Martino; al vescovo del luogo che l'aveva invitato alla sua tavola, predice la prossima rovina della famiglia reale che lo aveva osteggiato. 
Infine il piccolo gruppo giunge a Nantes; e li, durante la sosta in attesa di un battello che lo trasporti sull'isola, ha luogo un nuovo miracolo: a uno sventurato che era venuto a bussare alla loro porta, Colombano aveva fatto dare tutto quello che restava loro, una misura di farina; per i due giorni successivi i monaci dovettero digiunare; ma il terzo giorno una dama di cui il biografo (Giona) ha tramandato il nome, Procula, invia loro cento misure di vino, duecento di frumento e cento misure di orzo per preparare la “cervogia” (birra)[19].
Ci è rimasta una lettera scritta da Colombano ai suoi compagni di Luxeuil, da Nantes; rispecchia perfettamente il dinamismo e l'imperturbabile coraggio di quest'uomo: 
" La pace sia con voi” comincia; e più avanti: " I Vangeli ci offrono tutto quello che occorre per incoraggiarci; sono stati scritti quasi soltanto per questo: per insegnare ai fedeli di Gesù crocifisso a seguirlo portando la loro croce; i nostri pericoli sono numerosi... e il nemico temibile, ma la ricompensa è gloriosa, e la libertà della nostra scelta palese.
Senza avversario non c'è lotta, senza lotta non c'è corona... e senza libertà non c'è dignità".
Raccomanda loro di non avere "che un cuore e un'anima ", e prosegue: " Sono rovinato perché ho voluto essere utile a tutti; ho creduto a tutti e sono stato insensato: che voi siate meno imprudenti "; e conclude dando loro la sua benedizione.[20]
Finalmente una nave di mercanti che trafficava con le isole britanniche era giunta al porto. 
Colombano e i suoi compagni si imbarcarono; ma quasi subito il vascello si trovò incagliato in un bassofondo; impiegò tre giorni a liberarsi, durante i quali il nocchiero, probabilmente per alleggerirlo, obbligò i monaci a scendere. 
Una volta a terra, le guardie della scorta apprendono che ormai Brunechilde, con Teodorico, è in guerra contro l'altro nipote, Teodeberto
Non era più il caso di preoccuparsi dei monaci: le guardie se la svignano, così Colombano e i suoi possono andarsene indisturbati.

Ritorno in Neustria e Austrasia 
Sfuggito al re burgundo, Colombano passò quindi in Neustriaverso RouenSoissons e Parigi.
Qui regnava Clotario III, che gli concesse la sua protezione. 
Con ogni probabilità è allora che lo lascia uno dei suoi compagni, Potenziano, il quale si  dirige verso Coutances dove fonda a sua volta un monastero. 
Colombano pensa di approfittare delle circostanze per compiere il pellegrinaggio a Roma che progettava da tanto tempo.                     
L’uomo di Dio si dirige verso la città di Meaux e qui  ha luogo un incontro indimenticabile nella storia della Chiesa; si ferma da Cagnerico, padre del un suo discepolo, Cagnoaldo, uomo importante nel regno di Borgogna, un leudo (in seguito si dirà un signore); l’altra sua figlia Fara (Fare, Burgonfara), allora di dieci anni circa, pare prestare un'attenzione specialissima ai discorsi di Colombano, che prima di partire la benedice. 
Fara diventerà poi santa e fonderà l’abbazia femminile di Faremoutiers. [21] 
Ma nel frattempo la situazione è cambiata, e il monaco viene richiamato in Austrasia, con l'argomento che le regioni montuose della parte orientale del paese sono ancora occupate da popolazioni semipagane. Colombano fa tappa a Poincy, a Ussy e Metz, poi risale la valle del Reno passando per Koblenz, Mainz e Strasbourg, e nei dintorni di Basilea (Basel) uno dei suoi compagni, Ursicino, si stacca dal gruppo per vivere in romitaggio nelle montagne del Giura sulle rive del Doubs; sarebbe questa l'origine dell'abbazia di Sant'Ursanna (cantone di Berna).
Risalendo la Limmat, e poi il lago di Zurigo (Zurich), Colombano e i compagni che gli restavano si fermarono a Tuggen, dove ci furono scontri con la popolazione; una dei monaci, Gallo, gettò nel lago le statue degli dei adorati dai contadini della regione; era meglio non prolungare un soggiorno che diventava spiacevole.
Più lontano, ad Arbon (Turgovia), sulla riva meridionale del lago di Costanza, guidati da Villimaro, un prete che li aveva accolti con grande cordialità, i monaci si dirigono verso un castrum abbandonato, Breghenza, Bregenz; in passato vi era stata dedicata una cappella a sant'Aurelia; gli irlandesi si proposero fermamente di rimetterla in funzione.                                                                                                        
Intanto si ridestava l'ostilità che il re Teodorico e sua nonna Brunechilde (che nel frattempo avevano sconfitto Teodeberto) avevano dimostrato a Colombano; questi si sentì nuovamente in pericolo; d'altronde i suoi più prossimi vicini tedeschi apparivano mal disposti: si arrivò al punto di uccidere due monaci accusati di disturbare le cacce del signore del posto. 
Colombano capì che doveva ripartire, e il progetto del pellegrinaggio a Roma gli apparve nuovamente come la soluzione; ma il suo discepolo Gallo gli chiese di poter rimanere in quel paese, dove ben presto, grazie a lui, si sarebbe elevata una grandiosa abbazia di San Gallo sempre presente nel mondo moderno con la sua magnifica biblioteca e i suoi edifici sontuosi, ricostruiti nel XVIII secolo. 
Infine un’altra separazione quella del monaco Sigeberto, ha come conseguenza la fondazione dell'abbazia di Santa Maria di Disentis nei Grigioni, la quale conserva uno dei più bei soffitti romanici affrescati che siano rimasti in Occidente.[22]

3. PERIODO ITALIANO
Nel 612 Colombano valica le Alpi, (probabilmente al colle del Bernina, a oltre 2300 metri di altezza), per arrivare infine a Milano. Ha settantadue anni.
"Nella corsa vertiginosa del tempo abbiamo raggiunto il triplo di sei anni olimpici " scrive in versi latini a uno dei suoi discepoli, e aggiunge: "Vivi, vivi lietamente, e non dimenticare la triste vecchiaia ".[23]
Trova accoglienza presso i Longobardi. Si mette però subito in lotta contro l’arianesimo[24] diffusosi molto in questo periodo nell’Italia settentrionale. 
Giunto a Pavia, Colombano si pone sotto protezione del re longobardo Agilulfo, che era tuttavia ariano, e della regina Teodolinda, invece profondamente cattolica.  
Il santo ottiene  dai sovrani longobardi la possibilità di creare sul suolo demaniale un nuovo centro di vita monastica. 
Il luogo, segnalato da un certo Giocondo, viene esaminato dalla stessa regina Teodolinda, salita sulla vetta del monte Penice, la quale chiede al santo di dedicare alla Madonna la piccola chiesetta in cima alla vetta, futuro santuario di Santa Maria
L'area si trovava nel cuore dell'Appennino in una zona fertile e molto produttiva, dove abbondavano acque correnti e c'era pesce in quantità. Nella zona si trovavano anche antiche terme e sorgenti, sia termali che saline da cui si traeva il sale
Giona scrive: “La tradizione degli antichi denominava quel luogo “Bobium”, dal torrente che scorre in quel luogo”.[25] 
La scelta del luogo ne faceva un avamposto religioso e politico controllato dal regno longobardo verso le terre liguri, ancora bizantine. Con il documento del 24 luglio del 613 che donava a Colombano il territorio per fondarvi il nuovo monastero, vennero attribuiti a questo anche la metà dei proventi delle saline del luogo, che appartenevano in precedenza al duca Sundrarit.                                                                                     Colombano giunse a Bobbio nell'autunno del 614 con il proprio discepolo Attala, riparò l'antica chiesa di San Pietro (situata dove ora vi è il castello malaspiniano) e vi costruì attorno delle strutture in legno, che costituirono il primo nucleo dell'abbazia di San Colombano.
Secondo il racconto di Giona, nonostante la presenza di una fitta boscaglia, che ostacolava il trasporto dei materiali da costruzione, san Colombano e i suoi avrebbero sollevato i tronchi come fuscelli, facendo il lavoro di trenta o quaranta uomini.[26]     
Inoltre si tramanda anche la famosissima leggenda dell'orso e del bue riprodotta sia nell'abbazia che in altri luoghi colombaniani, essa racconta che un orso uscito dalla foresta si avventò verso una coppia di buoi, che assieme ad un contadino trainavano un aratro nei campi, uccidendone uno, ma Colombano avvertito da esso, parlò all'orso aggiogandolo e ponendolo al posto del bue ucciso per finire di arare il terreno.
Nella quaresima del 615 Colombano si ritira nell'eremo, da lui fondato, di San Michele della Curiasca presso Coli, lasciando a Bobbio come suo vice Attala, e tornando al monastero solo alla domenica. 
Qui gli giunge la visita di Eustasio, suo successore a Luxeuil, inviato dal re Clotario II, il quale aveva nel frattempo riunito sotto il suo dominio i tre regni merovingi precedentemente esistenti e aveva fatto perire tra supplizi la regina Brunechilde, il monarca desiderava il suo ritorno in Francia. 
Colombano però fece riferire al re che non riteneva assolutamente possibile ritornare indietro, lo pregava solamente di sostenere con il suo aiuto e la sua protezione i suoi compagni che risiedevano a Luxeuil.                                                          
Cripta dell'Abbazia si San Colombano con la tomba del santo
“Di poi il beato Colombano, trascorso il giro di un anno dopo aver vissuto una vita santa nel sopraddetto cenobio[27] di Bobbio, rese al cielo la sua anima, sciolta dalle membra, il giorno 23 novembre 615. Se qualcuno volesse conoscere la sua attività e la sua opera, la troverà nelle sue parole. I suoi resti sono sepolti in quel luogo, ove conservano tanta potenza, resi illustri da tanti prodigi, sotto la guida di Cristo…” 
Così Giona termina la sua “Vita di San Colombano”.[28]   
Come secondo abate del monastero gli succedette Attala (615-627). Le spoglie di San Colombano riposano nel sepolcro  della cripta dell'abbazia insieme a quelle degli abati suoi successori: Attala, Bertulfo, Bobuleno e Cumiano e di altri diciotto monaci e di tre monache.
                                                                                     

La Vita di San Colombano” di Giona 
Il libro di Giona dalla quale sono emerse le notizie più importanti e significative della vita del Santo, rimane un’ opera di grande pregio dell’alto medioevo, questo a testimoniare il notevole livello culturale che aveva raggiunto il monastero di Bobbio che rappresentava un faro di civiltà per la società di allora. 
Da sottolineare in questo lavoro, come altri dello stesso periodo di genere agiografico[29], è l’interesse per la natura. 
La descrizione del personaggio dotato di particolari virtù ed operatore di eccezionali imprese induce spesso l’agiografo a guardare con occhi più penetranti anche il mondo e l’ambiente in cui quello vive ed agisce. 
Questo libro che è proprio all’inizio dell’agiografia monastica dell’alto medioevo dell’Occidente europeo si dimostra particolarmente sensibile verso i vari ambienti naturali con cui viene a contatto Colombano: la descrizione della terra d’Irlanda (sopra citata), il paesaggio del Giura e dei Vosgi, la terra e i campi, il raccolto delle messi e la fatica del disboscamento, la pioggia e le acque costituiscono, infatti elementi importanti nella descrizione della vita del Santo.[30]
Tutto questo arricchisce l’opera di Giona di qualità poetiche degne di rilievo per una letteratura antica che andrebbe maggiormente valorizzata.



Lo “scriptorium” di Bobbio                                                                                                    
La regola colombaniana, a differenza di quella benedettina, fa obbligo al monaco di esercitarsi ogni giorno anche nel campo culturale: 
“… poiché ogni giorno è necessario alimentarsi onde poter crescere, altrettanto ogni giorno è doveroso pregare, lavorare e leggere”.
Già nei primi anni della fondazione, comincia ad operare uno “scriptorium”, un gruppo di monaci incaricati di preparare e confezionare nuovi libri. Poco alla volta si forma una preziosa biblioteca. 
Vi confluiscono i codici portati dai monaci, altri più antichi reperiti nell’area dell’Italia settentrionale con la mediazione della corte longobarda e quelli prodotti dallo scrittorio  locale.
Per tutto il secolo settimo e ottavo, lo “scriptorium” di Bobbio appare come il più attivo ed efficiente dell’Italia del Nord. 
Vi sono maestri irlandesi: il loro influsso lo si riconosce nello stile della miniatura e nel particolare sistema della abbreviature. 
Una delle sue realizzazioni più prestigiose è certamente quella del “Glossarium  Bobiense”, una specie di enciclopedia già nel IX secolo.
La biblioteca cenobiale raggiunge già nel decimo secolo una consistenza prodigiosa: più di 700 codici.
Se si pensa che dei 150 manoscritti latini anteriori al VII secolo oggi conservati, ben 25 appartengono alla biblioteca di Bobbio, forse è più facile comprendere il ruolo fondamentale di questo monastero nella trasmissione della cultura.[31]
Nei secoli successivi piano a piano la biblioteca viene smantellata per acquisti, donazioni, ma anche trafugamenti, nel 1720 restano solo 122 codici.
Nel 1801 per ordine delle autorità francesi (napoleoniche) il Convento viene soppresso e vengono apposti i sigilli alla Biblioteca e all’archivio.
Il 6 maggio 1803, libri manoscritti e stampati, documenti e   mobili vengono messi all’asta e venduti per la somma di franchi 53 al “cittadino Odoardo Raymond Buthler di Bobbio”, medico collezionista di origine irlandese. Il 12 maggio, debitamente registrato l’atto di vendita, per la povera Biblioteca tutto era consumato…[32]
I codici più importanti oggi li possiamo ritrovare in varie città: il famoso” K 55 con i Vangeli di S. Marco e S. Matteo” alla biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, il palinsesto[33] delle Commedie di Plauto alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, il “Virgilio Medico” alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, il “De Repubblica” di Cicerone alla Biblioteca Vaticana  di Roma e altri dispersi in città europee.

Conclusione
Da oltre mille anni il monastero di Bobbio ha trovato il suo spazio vitale nella Val Trebbia. 
Qui la comunità di san Colombano è divenuta presto un incisivo punto d’irradiazione, di cui purtroppo sono in pratica scomparse le tracce dalla memoria della storia italiana. 
Per alcuni secoli, infatti, Bobbio è stato un centro culturale di primaria importanza. In Italia e in tutta l’Europa non temeva confronti. 
E’ stato un crocevia di culture come poche altre fondazioni monastiche: ha visto innestarsi nel territorio appenninico la cultura irlandese e da qui ha esteso ovunque le sue relazioni culturali. 
Attraverso spazi e tempi, ha tenuto le fila di una profonda vitalità spirituale e di una intramontabile curiosità umanistica. 
Ha arricchito l’esperienza liturgica padana con l’apporto dell’isola irlandese, ha aperto le porte della penisola italica ai fermenti in atto nelle lontane terre d’oltre Manica.[34]
Pochi centri medioevali hanno vissuto come Bobbio, secondo la famosa espressione di Jean Leclercq, “il desiderio di D-i-o e l’amore delle lettere”.  
Seguendo queste due tensioni, dal VI al X secolo, l’ abbazia di Bobbio è  stata un centro di un’elaborazione culturale ampia e autonoma. 
Perché è proprio da questa sintesi, tra cultura umanistica e desiderio di Dio, che i monaci colombaniani hanno espresso un cristianesimo caratterizzato da una spiccata componente ascetica sempre accompagnata  da una viva intelligenza nella ricerca della conoscenza e del sapere, nell’arte, nella poesia, nella filosofia e nella letteratura.
La presenza di Colombano e dei suoi monaci dediti alla preghiera e curvi nello scriptorium intenti a scrivere, sembra sentirsi ancora camminando per i lunghi corridoi della grande abbazia che ancora oggi, agli occhi attenti, fa respirare quella grande spiritualità e la notevole cultura che in questi luoghi si sono vissute.







INDICE


1. PERIODO IRLANDESE                                                                                      
- Formazione monastica a Bangor                                 
                                        
2. PEREGRINATIO                                                                                                  
- Sbarco in Gallia e primo insediamento ad Annegray (La Voivre)                                 
- Fondazione di Luxeuil e Fontaines importanti centri monastici                        
- Contrasto con i re merovingi                                                                                 
- Da Luxeuil a Nantes, la via dell’esilio                                                                  
- Ritorno in Neustria e Austrasia                                                                             

3. PERIODO ITALIANO                                                                                          
- La Vita di San Colombano” di Giona                                                                  
-  Lo “scriptorium” di Bobbio                                                                                               
-  Conclusione                                                                                                                                                                               




[1] Benedetto XVI – Udienza generale 11.06.2008
[2] Regine Pernoud “La Vergine e i Santi nel Medioevo” ed Piemme 1994 – pag. 106
[3] Clifford Hugh Lawrence “Il monachesimo medievale” ed. San Paolo 1993 – pag. 75
[4] del colore del cielo
[5] Giona “Vita di San Colombano” a cura di E.Cremona e M.Paramidani- Emiliana Grafica – Piacenza 1965 – pag 6
[6] M. Tosi- Introduzione alla Vita di San Colombano - Emiliana Grafica – Piacenza 1965 – pag. V
[7] Significa la raccolta dei 150 salmi della Bibbia divisi in uno schema settimanale per recitarli come preghiera
[8] R. Pernoud op. cit. pag.107
[9] Giona op. cit. pag.10
[10] J. Leclercq (1911-1993) Monaco benedettino nato in Belgio, storico e profondo conoscitore del Medioevo sia cristiano e non, appassionato divulgatore dell’ideale monastico , è il fondatore della cosiddetta “teologia monastica” e autore di numerosi studi tradotti in più lingue
[11] Vita comunitaria dei monaci che seguono la medesima regola
[12] S.Colombano “Istructiones” da Inos Biffi “La disciplina e l’amore. Profilo spirituale di san Colombano” Jaca Book 2002
[13] Fortificazione, castello
[14] R. Pernoud op. cit. pag 111
[15] R. Pernoud op. cit. pag.112
[16] Clifford Hugh Lawrence op. Cit. pag 78
[17] Donne che vivevano come spose alla corte del re dandogli dei figli
[18] Giona op. cit pag.34
[19] Giona op.cit. pag. 46
[20] R. Pernoud op. cit. pag. 116
[21] www.santiebeati.it – Santa Fara (Burgundofara) Badessa
[22] R. Pernoud op. cit. pag 117
[23] R. Pernoud op.cit. pag 118
[24] arianesimo eresia sostenuta dal prete alessandrino Ario (sec. IV), che negava la divinità di Cristo e la sua identità di natura col Padre. 
[25] Giona op.cit. pag 58
[26] Giona op. cit pag 59
[27] Cenobio in greco significa “vita comune” qui è inteso come la comunità dei monaci, il monastero
[28] Giona op.cit. pag 60
[29] agiografia è la letteratura riguardante la vita dei santi
[30] Gregorio Penco “Il monachesimo fra spiritualità e cultura” Jaca Book 1991 pag 151
[31] M. Tosi “Bobbio guida storica artistica e ambientale della città e dintorni” Presso gli Archivi storici Bobiensi 1978 pag 17 - 18
[32] Enrico Mandelli “Bobbio piccola guida storico-artistica” 1962 – pag 15
[33] palinsesto (dal greco “palin psestos”, raschiato di nuovo) è un manoscritto su pergamena che, dopo raschiamento per toglierne lo scritto originale, veniva utilizzato per un nuovo testo.
[34] Giacomo Baroffio nella presentazione di “Codici e Liturgia a Bobbio” di Leandra Scappaticci – Libreria Editrice Vaticana 2008